Una diagnosi per Uma

Due occhi bellissimi con cui esprime tutto quello che con la voce non può. La dolcezza di Uma è tutta nel suo sguardo, nel suo sorriso che è leggero. Nonostante affronti una malattia genetica rara, la sindrome di Phelan McDermid (delezione 22q13) che l’ha privata della sua voce e di molto altro.

La diagnosi per la bimba arriva a 10 mesi, dopo che i suoi genitori avevano cominciato a insospettirsi perché non riusciva ad afferrare gli oggetti, a muovere braccia e mani, a guardarsi intorno. Poi arriva una risposta, ma non è quella che mamma Stella e papà Edoardo avrebbero voluto sentire: la loro piccola affronta una malattia genetica rara di cui in Italia si conoscono appena 50 casi. Si tratta di una patologia che colpisce nei primi anni di vita in maniera molto dura, perché chi ne soffre smette di parlare, tende a isolarsi e ad aver bisogno di essere costantemente stimolati.

“Non abbiamo il diritto di abbatterci per lei, perché lei combatte”

Mamma Stella

Al fianco di Uma c’è un alleato prezioso: mamma Stella, impegnata quasi h24 per garantirle una qualche autonomia futura. Parliamo di 3 sedute a settimana di fisioterapia riabilitativa e logopedia di circa 45 minuti ciascuna, ma quello che si vede è davvero solo la punta dell’iceberg. In realtà, quello di Stella è un lavoro no stop.

La fisioterapia

"Fino a poco tempo fa faceva anche ippoterapia. Abbiamo dovuto smettere perché Uma si è dimostrata resistente al vaccino per il tetano e non abbiamo avuto l’autorizzazione a proseguire. Ora fa fisioterapia neuromotoria per ridurre i suoi deficit, migliorando l’ipotonia e la lassità dei legamenti. È un percorso che ci sta dando grandi risultati, votato ad una maggiore futura autonomia".

Uma

"Siamo riusciti a farla stare in piedi, ma la deambulazione è ancora faticosa. Riesce a muoversi per brevi tratti. Poi ci pensa mamma. Magari prendendola in braccio. Così, oltre alle energie mentali, se ne va anche tanta forza fisica. E arrivano tanti dolori, grandi e piccoli. Ma, ripeto, i risultati sono importanti e per questo continuiamo, nonostante si presentino tante difficoltà: si tratta di un’attività faticosa, stancante, Uma non l’accetta volentieri. Piange, fa i capricci e cerca di “scappare” verso la sala della logopedia".

La logopedia

"L’approccio al lavoro sulla comunicazione è, invece, molto diverso. In quel caso ride, si diverte. È conscia anche lei dei miglioramenti che sta avendo da quando abbiamo cominciato. La logopedia è incentrata sul metodo della comunicazione aumentativa. Si lavora sui simboli. Per esprimere concetti, semplici e complessi. Il suo quaderno, con tutte le tabelle, è la sua voce. Anche da questo punto di vista Uma ha fatto grandi progressi e ci siamo resi conto che potevamo e dovevamo fare di più. Per questo abbiamo aumentato il tempo dedicato alla logopedia, con una assistente privata che viene a casa 3 volte a settimana, per 3 ore ogni seduta. E ci siamo impegnati in prima persona: attraverso un software creo io stessa le tabelle con i simboli necessari in quel particolare momento, le stampo, le plastifico e le inserisco nel quaderno. È un processo in continua evoluzione perché il vocabolario, come in tutti i bambini, cresce e si modifica, le esigenze cambiano e c’è bisogno di nuovi supporti. Spesso mi ritrovo a stampare e plastificare tabelle in piena notte".

Le problematiche quotidiane e il lavoro a casa

"Per l’aspetto fisico noi genitori possiamo fare poco, non avendo le competenze di un fisioterapista. Al massimo cerchiamo di farle un po’ di linfodrenaggio per ridurre il gonfiore ai piedi, che, soprattutto nelle stagioni più calde, rischia di essere un problema serio. Al di là delle terapie, c’è quella che io chiamo la parte burocratica: le visite, i controlli, le richieste alla asl, gli ausili. Solo quelli richiedono un paio di mesi per l’iter completo. Spesso i tempi sono lunghi e dobbiamo trovare soluzioni alternative. Come quando, dopo mesi di attesa, durante i quali le scarpe erano diventate piccole, ci siamo dovuti mettere alla ricerca di calzature che potessero rispondere, almeno in parte, alle sue esigenze. Tutto questo porta via tempo. E delle volte il tempo non c’è. Perché le cose da fare sono tante e gli orari si sovrappongono. Mio marito si fa mettere i turni di notte, in modo da essere il più possibile presente; io mi sono dovuta licenziare per seguire Uma. Anche perché la sindrome di Phelan MCDermid porta con sé tanti problemi, tra cui una certa debolezza del sistema immunitario che, in ambienti come la scuola materna, comporta rischi importanti. L’anno scorso è riuscita ad andare a scuola 10, forse 15 giorni. In queste condizioni non è stato possibile mantenere il posto di lavoro".

“Il problema è capire quale sarà il suo futuro, io darei la vita per lei”.

Mamma Stella

Cosa possiamo fare per il futuro di Uma?

Le malattie come la sindrome di Phelan McDermid comportano disabilità intellettive e motorie per cui spesso non esistono terapie, ma solo tecniche di riabilitazione. In questo contesto quindi, diventa fondamentale innanzitutto studiare queste malattie poco conosciute, attraverso progetti di ricerca validi, di qualità. Come lo facciamo? Portiamo avanti diversi filoni di ricerca attraverso due istituti d’eccellenza a Milano e Pozzuoli, ma apriamo regolarmente anche bandi di ricerca rivolti a ricercatori di tutta Italia che vengono valutati da una commissione di scienziati da tutto il mondo, attraverso un metodo trasparente e meritocratico, quello della revisione tra pari.

Studiare queste malattie è l'unico modo per combatterle e restituire un futuro a tanti bambini come Uma.